APERTURA ALLE QUAGLIE ED ALLE TORTORE stagione venatoria 2014/2015

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foto 1 copertina del libro il tesoro di DianaNella sera e nella notte che precede l’Apertura, e per esprimere un positivo augurio per l’inizio della nuova stagione di caccia ormai alle porte, quale miglior viatico se non il seguente brano tratto dallo scritto di Tito Pagliari (noto scrittore nel settore venatorio e seguace di Diana dell’Urbe vissuto nella prima metà del secolo scorso) intitolato “Aperture d’altri tempi”? Lo scritto è parte del volume “Il tesoro di Diana – selezione di narrativa e tecnica venatoria – “ per i tipi della famosa, e tanto cara a noi cacciatori, Editoriale Olimpia di Firenze.

 

cacciaNotte di plenilunio: spira appena una leggera brezza da levante. Schiere e schiere di graziose gallinelle sorvolano veloci a volo radente il mare nostrum, dalle aride coste africane dirette ai lidi fioriti di Esperia verde. E’ una buona stagione: a Maccarese, a Nettuno ci sono stati diversi sballi. C’è da sperare bene per l’apertura. Purtroppo però nella metropoli – così favorita dalle meravigliose risorse dell’ Agro vetusto – questa benedetta apertura è ostacolata da un clima avverso. Ne risentono meno i così detti “pezzettari”, che alle prime luci, poco lungi dalle porte dell’Urbe, perseguono, fra il rombo ed il fumo stagnante nella nebbia della polvere nera, i ciarlieri branchi di calandroni volteggianti sulle stoppie di biada o gl’irrequieti culbianchi saltellanti sulle nere stoppie bruciate. Ma per i classici, per i possessori di Teverino o di Fido così rinomati per forzare al volo i quagliardi nelle loro giravolte nel folto delle stoppie grondanti di rugiada, la cosa era ben diversa. Purtroppo alla specola del Collegio Romano il termometro aveva segnato 36° all’ombra e sin dalla sera una densa nebbia era calata su Roma. Tra uno chop e l’altro di birra (costavano sei soldi) si discuteva il piano di battaglia. Le preferenze erano per l’alta valle del Tevere e specialmente per le tenute di Scorano e Ponte Storto che nella notte insonne si raggiungevano dopo almeno tre ore di pessima strada. Ma, dissipata la nebbia, bastavano un paio d’ore di sole sfolgorante perché Teverino e Fido con un’enorme lingua pendente e sgocciolante, già grattassero rabbiosamente la terra per cercarvi un pò di refrigerio, mentre il nembrotto, infrascato in un’ombra, battagliava contro mosche e tafani. Senonché verso la fine dell’ottocento con ardite opere d’ingegneria la ferrovia non solo raggiunse l’ “irrigua Tivoli”, sino allora servita solo da un traballante trammetto, ma s’inerpicò sui contrafforti dell’Appennino, raggiunse altipiani di sei o settecento metri. E, dopo traversata la ridente pianura “ove senz’arme vinse il vecchio Alardo”, sostarono poco lungi dalle falde del primo colosso, quel monte Velino dalla tricuspide vetta, le cui nevi si vedono talora splendere fino a Roma. Da lì il terreno dolcemente digrada verso una vasta pianura rinchiusa da alti monti in vista della “Majella madre”. Era la Mecca dei cacciatori di quaglie, il vecchio Fucino.

foto 2 il frullo della quaglia che era stata ben fermata ecc.Capitai al Fucino la prima volta nell’anno di grazia 1892. Era un paradiso di caccia e vi misi radici. Vi ho soggiornato d’estate con la famiglia per una ventina di anni. Nel 1915 ne fui cacciato dal tremendo terremoto che, oltre la casa, seppellì qualche caro amico. Cacciatori, allora, pressoché assenti. Vegetazione lussureggiante. Si pensi che il lago per defluire nel Liri impiegò sette anni, mentre banchi di pesci e molluschi imputridivano al sole concimando la terra. Anche oggi, dopo tanti anni, il guscio di una bivalve. L’ “Anodonta cygnea” scricchiola spesso sotto lo scarpone del cacciatore.

unnamedAncora un’apertura! Quei treni, che s’inerpicarono sui contrafforti dell’Appennino, proseguirono attraverso gallerie ed arditi viadotti la loro ascesa, superarono i mille metri, giunsero in vista della biancheggiante Majella. Valli con alti fieni smeraldini, piccoli fiumi carsici che s’inabissavano negli inghiottitoi, altri monti sui quali si attardavano brandelli di nuvole: Calvario, S. Michele, Sierra Ciammaruchella. A 1500 metri un paesello annidato fra gli scogli, Pescocostanzo; e giù nella valle la piccola stazione. A mezzo agosto di un anno lontano vi discese un giovanotto con due cani al guinzaglio ed il fucile a bandoliera. Era seguito dalla consorte, due ragazzini e la domestica, nonché dal facchino della stazione col bagaglio sul carrettino, unico mezzo di trasporto. Era il primo villeggiante che a memoria d’uomo capitasse lassù e perciò per due sere di seguito, con trombe e tromboni, alcuni suonatori eseguirono sotto la sua finestra un’allegra marcetta in suo onore.

Dovevano passare ancora molti anni perché la patria del pastore Aligi divenisse un soggiorno alla moda.

IN BOCCA AL LUPO!

Franco Pesciarelli

www.settermontecatria.it

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