Briciole di Cantiano…il paese del pane

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Non è un caso se Cantiano da quattordici anni si presenta come la Piazza del Gusto. Il paese propone prodotti locali che seppur interpretano la tradizione in una chiave moderna hanno sempre quel particolare sapore genuino della terra e dell’acqua del Monte Catria. Cantiano è il paese della visciola ma anche delle carni pregiate e della birra, dei funghi e del tartufo ma più di tutto è il paese del pane: quello di Chiaserna. Un viaggio lungo quattro stagioni, che come Pollicino, vi invitiamo a vivere inseguendo le briciole..di Cantiano in attesa della Piazza del Gusto, sabato 7 e domenica 8 maggio.

Alvaro, storico cantianese

Alvaro Matteacci, memoria storica di Cantiano

Fino all’avvento delle moderne cucine economiche, i forni dei panifici, dove oltre che acquistare si potevano cuocere sia il pane che altre vivande fatte in casa, hanno avuto una funzione vitale per la gente dei paesi e dei piccoli centri. Negli anni Cinquanta del secolo scorso, a Cantiano, di forni ce ne erano tre: due in paese e uno a Chiaserna, gestito da Erma Gaeta (Ermete), successivamente passato ai fratelli Mazzoni e tutt’ora in attività. Negli anni Sessanta, sempre a Chiaserna, ne è sorto un altro, il K2 che si caratterizza per la cottura dei suoi prodotti nel forno a legna.

A Cantiano paese, tra i forni, quello probabilmente più antico, situato all’inizio di via Allegrini, era di Raffaella Formica (La Lella de Ventura) che ha cessato l’attività negli anni Sessanta. Fatto curioso è che la casa dove era questo forno, oggi è l’abitazione di Vincenzo Padovani, nipote di quel Vincenzo Padovani (Cencino), proprietario negli stessi anni, dell’altro forno, quello di via IV Novembre. Anche questo ha subito dei passaggi di proprietà, da Cencino al figlio Dante, da Dante a Gianni Duro (Il tozzo del pane) da Gianni alla famiglia di Avellino Bartolucci (I Moretti) che lo gestisce tutt’ora. Intorno al 1960, il forno a legna di Cencino è stato modernizzato e alimentato a lignite con l’intervento della storica ditta Tibiletti di Milano.

Ricordo con nostalgia la gestione di Dante che è coincisa con la mia infanzia, gioventù e … oltre. Debbo dire che nel forno mi sentivo di casa, perché mia madre Rutilia ci ha lavorato per circa vent’anni in coppia con zia Cesira, ed io stesso, durante le vacanze estive, portavo il pane nei vari generi alimentari, prima con il triciclo a pedali, poi con un “trespoletto giallo” a motore vagamente somigliante ad un aspetto. In quanto abitante di via IV Novembre, le mie mattinate fino al momento di andare a scuola, erano scandite dagli odori, dalle voci e dai rumori provenienti dal forno: dalle primissime ore del giorno, quando Dante “tirava su” la serranda, poi bussava al portone per avvisare mamma “o Rutì è ora”, al rumore dei padelli della “prima sfornata” di spianate e maritozzi, che coincideva con l’ora di alzarsi per andare a scuola.

Uno scorcio di via IV Novembre dove ancora la famiglia Padovani avviò il forno

Uno scorcio di via IV Novembre dove la famiglia Padovani avviò il forno

La domenica mattina e nei giorni di festa, Dante cuoceva i padelli dei privati con arrosti, ”vincisgrassi”, e “il padello” di verdure, allora la mia casa e tutta la via, erano invase da un profumo di cose buone che faceva venire l’acquolina in bocca. Durante la settimana, nei giorni stabiliti, si cuoceva il pane delle famiglie e si vedevano sfilare per la via, donne con la tavola del pane, portata sulla testa e ben coperta “col mantile”.
Un periodo di lavoro molto impegnativo era quello pasquale, con la cottura delle ciambelle e delle cresce, la “brusca” al formaggio, “la dolce” con uvetta e canditi. Si cuoceva giorno e notte e non mancavano le discussioni, sia per la precedenza nelle infornate, sia per il riconoscimento delle ciambelle che avveniva con un filo di lana colorato legato intorno.

La quotidianità del lavoro, veniva interrotta da alcune giornate particolari, il 13 giugno festa di sant’Antonio da Padova, nel forno si preparavano “le pagnutine”, che venivano distribuite ai fedeli della prima messa alle ore sette. Il giovedì di mezza quaresima era impegnato con “le vecchie”, dolci a forma di donna, fatti con la pasta dei maritozzi o del biscotto e guarniti con uvetta e canditi. Capitava a volte che Dante, vinto dalla stanchezza o dal sonno, o impegnato in animate discussioni di calcio (è stato anche il Presi-Dante della locale società sportiva) che si tenevano nel suo laboratorio, trascurasse la cottura del pane o delle altre cose che si “abbronzavano” troppo, così che la moglie lo rimproverava:  “Te lasci gi’ co’ sto pallone! … hai arfatto faccetta nera!”. Storie di forni, storie di vita quotidiana!

Alvaro Matteacci

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