Fabrizio Barca spiega la Strategia delle Aree Interne: una visione con un metodo

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area-internaSassoferrato – Il fatto che il consiglio comunale di Pergola abbia scelto di non aderire alla convenzione stilata dalla conferenza dei sindaci di Sassoferrato, Arcevia, SSAbbondio, Frontone, Cantiano, Cagli, Acqualagna, Apecchio, Piobbico e dunque di non entrare nell’area interna Appennino Basso Pesarese Anconetano solleva tante domande nel comprensorio montano a cavallo tra l’anconetano e il pesarese in particolare su che cosa è questa ambiziosa strategia e sul perché 66 unioni di territori in tutta Italia abbiano chiesto il riconoscimento dall’agenzia della coesione territoriale ossia dal governo.

area interna 3Fondamentalmente questi territori appartengono a quella parte ampia del Paese, circa tre quinti del territorio, dove abita poco meno di un quarto della popolazione. Hanno una caratteristica che le accomuna: sono molto distanti da grandi centri di agglomerazione e di servizi, hanno uno sviluppo produttivo, industriale, commerciale instabile ma hanno delle risorse particolari di cui le aree centrali, più attrezzate, più popolose, sono sprovviste. Sono anche territori “rugosi” e dunque distanti non in linea d’aria ma nel tempo di percorrenza, hanno problemi demografici seri e vivono uno sviluppo difficile, problemi che si possono contrastare potenziando i servizi per chi ci risiede ed agevolando la creatività di chi ci vuole lavorare.

Tutto si fonda sull’economista Fabrizio Barca che, in passato Ministro nel governo Monti, vuole applicare l’articolo 3 della Costituzione ed intuisce che l’Italia di oggi non ha una visione a medio-lungo termine e che a questa visione va associato un metodo, con risultati che devono essere controllati da indicatori precisi e concreti sul territorio al fine di perfezionare la linea politica. Il disegno strategico riguarda tutto il comprensorio, anche dunque i centri popolati con servizi ma i finanziamenti sono riservati alle aree marginali. Infine non è l’ennesima politica che spinge verso l’associazionismo tra comuni per spartire soldi o vantaggi. La strategia delle aree interne non dà nemmeno accesso a deroghe – e lo si è visto proprio nel settore della sanità –  ma riguarda paesi che sono decisi a lavorare a lungo termine insieme. E dunque non consentiva al consiglio comunale di Pergola di inserire una clausola di recessione prima del termine del 2010.

L’articolo 3 recita che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Sul problema dell’assenza di una visione per il paese, Fabrizio Barca, in un convegno a Fabriano dedicato ai manifesti del partito comunista fabrianese, si esprime in questi termini:

 “Manca una visione come quella che c’è stata in due momenti della storia italiana che hanno spinto ad un lavoro sodo. Nel 1946-48, quando si lavorava prima per scrivere la Costituzione e poi per approvarla, si visse un periodo seguito da 15 anni straordinari di sviluppo ma comunque 15 anni drammatici durante i quali l’Italia commette anche errori terribili. Sappiamo che nelle fabbriche si giunge a un conflitto fra capitale e lavoro, è il periodo delle Brigate Rosse; il nostro 5% di crescita di quegli anni si accompagna a situazioni pesanti, per esempio ai lavoratori non è permesso di organizzarsi, di riunirsi nei luoghi di lavoro. Non è tutto rose e fiori però c’è la visione generale del Paese. In quel momento – aggiunge – a qualunque partito politico si appartenesse le cose fondamentali si facevano, per il bene del Paese. Come dice Amartya Sen, la divaricazione fra il PCI e la DC sul futuro lontano era enorme, ma su quello che c’era da fare per arrivare al grande obiettivo finale tutti erano d’accordo e gli Italiani lo capivano, perché era semplice capire cosa si dovesse fare. La seconda grande fase di visione è quella che succede alla grande crisi petrolifera del 1973. Dopo quella crisi l’Italia ritrova una visione che consente di trovare la forza per fare le riforme sociali, dei diritti civili – che riguardano il divorzio e l’aborto -, finalmente l’Italia con 30 anni di ritardo fa la riforma del sistema della salute, la riforma del diritto di famiglia, riforme su cui ci si divide ma che comunque si fanno. Il passo in avanti in quegli 8-9 anni è straordinario. In quegli anni c’è una visione e l’articolo 3 della Costituzione è al centro della preoccupazione. Dopo di allora c’è una piccola eccezione, breve, che è simboleggiata da un signore che ci ha lasciato da poco, che è Carlo Azeglio Ciampi, – all’epoca Berlinguer aveva perso la capacità di proporre qualcosa, Craxi aveva delle intuizioni, era un uomo di grande intelligenza -, ma non c’è nulla che riempie il Paese come l’improvviso messaggio nazionale di Ciampi che parla di nuovo Risorgimento, vale a dire una rigenerazione dell’Italia, e l’idea di Ciampi aveva come principale obiettivo il Mezzogiorno che auspicava potesse liberarsi della drammatica arretratezza, ma è un’idea che dura pochi mesi. Non si è lavorato male ma non ce l’abbiamo fatta. Dello stravolgimento sono responsabili anche persone che sono state presidenti del Consiglio, e che si sono macchiate di colpe gravissime come il bombardamento della Serbia. Persone che non hanno una visione ma hanno un atteggiamento cinico. Una studiosa, Silvana Patriarca, ci dice che quando il Paese non va è facile essere cinici, se sei cinico non puoi avere delusioni. “Silvana Patriarca, “Italianità. La costruzione del carattere nazionale” “

Fabrizio-BarcaPer Barca quando manca la visione a quel punto la politica di sviluppo, quella economica diventa “compensativa” perché tutti sono arrabbiati e “in un momento come quello attuale – precisa Barca – in cui c’è una situazione di abbandono del lavoro, anche culturalmente il lavoro non è più al centro del dibattito, i lavoratori del manifatturiero, che rimane per il 18% al Paese e grazie al quale noi campiamo, rimangono fuori dall’orizzonte e dalla percezione – pensate alla drammaticità di questa cosa – questi lavoratori votano da un’altra parte e noi ci meravigliamo. Siamo la seconda più grande potenza mondiale nella produzione meccanica e questi lavoratori non sono parte del pubblico dibattito, in nessun modo.” 

Il G9 dell'area internaLa politica economica compensativa. È la politica di trasferimento che serve a “tenere buoni” quando non si hanno altre idee. “Noi – spiega l’ex ministro – abbiamo alcune città grandi e medie, una sola metropoli, che è Napoli; poi ci sono le aree interne del Paese che sono le zone lontane dai servizi fondamentali, e sono lontane perché il nostro è un Paese “rugoso”, per cui può capitare che per coprire distanze anche brevi si possa impiegare anche molto tempo. Poi ci sono le aree di mezzo, piccole pianure tipo Fabriano. Cos’hanno in comune tutti questi tre territori? In comune hanno che, quando non si ha una visione, in questi territori così diversi fra loro si fa una politica compensativa. Le politiche compensative producono classi dirigenti “estrattive”. Karl Marx ha suddiviso le classi dirigenti – le élites – in “produttive” ed “estrattive”. Nella nostra società le élites “estrattive” sono gli intermediari dei fondi pubblici che si sono diffusi nel Paese e che sono indispensabili nel processo produttivo ma senza avere alcun valore attivo. Questo fenomeno al Sud ha assunto toni drammatici, ma anche nelle aree montane del Paese, un fenomeno che ha spinto molti giovani – che non trovavano lavoro o che non volevano trasferirsi per lavorare – a dedicarsi al mestiere dell’intermediario (“ci penso io a portarti i soldi”). Questa eclatante stagnazione del sistema produttivo italiano determina l’arresto della crescita produttiva del nostro Paese, un arresto a macchia di leopardo, perché ci sono settori, come quello dell’industria meccanica, che crescono, mentre altri evidentemente calano; facendo la media si determina un arresto complessivo. I settori improduttivi e privi di crescita vengono tenuti vivi con il ricatto della crisi occupazionale, vengono finanziate imprese già morte, e ci sono personaggi che non hanno alcun interesse che ci sia rinnovamento perché solo mantenendo lo status quo riescono a stare a galla, solo finché andranno male le aziende loro continueranno ad avere un ruolo. Le classi dirigenti “estrattive” non solo non sono in grado di innovare, ma non vogliono innovare e quindi discriminano i creativi e gli innovatori. Ma se si costruisce una visione, questo sistema salta.”

Fabrizio Barca 2Per Barca, questi territori nel contesto internazionale hanno una carta importante da giocare a favore dello sviluppo, per tre motivi: le preferenze dei consumatori: la domanda internazionale di beni, di prodotti agroalimentari, di turismo va nella direzione della diversificazione ed è aumentata in misura straordinaria; la tecnologia che consente ai creativi di lavorare dappertutto; la natura dell’offerta migratoria: questo territorio ha una elevatissima penetrazione di immigrati, che possono diventare un’opportunità con l’interculturalità e il cosmopolitismo.

Disegnata la visione, Barca ci dà un metodo che è l’esatto contrario dell’economia compensativa. Una strategia che non deve partire dai progetti ma dalle persone, parte dai creativi, dalle competenze, dalle idee. La visione non è più nazionale, ma riguarda il territorio. Inoltre, considera i sindaci depositari di una parte elevatissima della conoscenza necessaria per decidere come muoversi. “Anche se la classe dirigente locale non è solo parte della soluzione, ma anche parte del problema – precisa Barca – perché sono loro che negli anni, insistentemente, hanno utilizzato questi fondi in maniera “estrattiva”, sono loro che non avendo fiducia, non volendo rischiare, hanno continuato a finanziare quello che già c’era, hanno salvato quello che già c’era, non hanno aperto le discussioni, fatto riunioni, coinvolto la gente.”

Una politica dunque che è una visione dotata di un metodo ma che deve produrre cambiamenti. E dunque una politica verificabile. La terza parole chiave del progetto. I risultati ottenuti devono essere misurati con indicatori precisi non in un intento di verifica e di controllo ma per alzare la qualità del pubblico dibattito. Insomma una logica a lungo termine che fa attenzione ai risultati finali. E questo sarà il passaggio finale che stabilirà se la strategia delle aree interne ha funzionato o no. “È il momento del coraggio – conclude Barca”.

Véronique Angeletti@civetta.tv

Tiziana Gubbiotti@civetta.tv

Video Lorena Podera

Il video dell’intervento dell’economista Barca è stato preso durante l’inaugurazione della mostra sui manifesti del Pci organizzata a Fabriano dall’Istituto Gramsci http://www.civetta.tv/2016/11/16/fabriano-nostro-volto-mostra-manifesti-degli-anni-1945-1991-tratti-dagli-archivi-del-pci-fabrianese/

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