“Via Montecavallo” di Woner Lisardi con le immagini e la cura di Alvaro Rossi

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Dall’introduzione di Woner Lisardi
Correva l’anno 1932 e chi, a Sassoferrato, da Piazza Bartolo fosse risalito per il corso Vittorio Emanuele II, poco dopo aver oltrepassato la piazzetta alberata intitolata a Giambattista Salvi, giunto più o meno all’altezza dei tre bassi scalini con i quali cominciava, a destra, l’ascesa per via La Valle, si sarebbe trovato all’inizio di via Montecavallo.
Una strada che, dopo poco più di centocinquanta metri, giunge fino alla Porta di Nonantola, chiamata familiarmente così forse per conservare la memoria dei possedimenti e dell’influenza che quella lontana e antichissima abbazia aveva avuto, nel medioevo, anche dalle nostre parti *.
Il ricordo di tutti quelli che ci vivevano e del clima di solidarietà che tra di loro s’era instaurato (forse anche per supplire al disinteresse, più o meno palese, delle autorità), che faceva sentire ognuno partecipe e legato al destino di tutti gli altri, qualunque fosse la sua estrazione o la sua presente condizione sociale, mi sono rimasti dentro e mi hanno indotto a scrivere queste righe, che mi hanno fatto tornare indietro nel tempo, al giovane non ancora decenne che osserva quello che gli accade tutt’intorno e lo fissa indelebilmente nella memoria…
Via Montecavallo è una via stretta e lunga che qualche volta, con un po’ di disprezzo, viene anche chiamata l’Albania – in palese riferimento a una nazione che tutti immaginano popolata da montanari orgogliosi e selvatici – perché la maggioranza degli abitanti è istintivamente contraria al regime fascista che da una decina d’anni governa il comune e la nazione. Ma qui nessuno si offende per tanto poco, né questa ostilità latente ci toglie il buonumore: la strada è sempre piena di vita e di ragazzi come me e la sera poi è tutto un risuonare di giochi, di allegria e di voci. Anche di quelle dei grandi che aspettano l’ora di cena, dopo aver chiuso la bottega o essere tornati dal lavoro: chi da qualche cantiere, chi dai forni del cementificio, che tutti chiamano la Ditta Stella, dal cognome dei loro proprietari, o da quelli della Marchigiana di Nice (come tutti chiamano Cleonice Poeti) e Virgilio Andreoli, detto lo Zar, che produce la calce idraulica e sta pochi passi più avanti della fabbrica delle Mattonelle dei fratelli Boldrini, che a sua volta è a qualche decina di metri dalla Porta di Nonantola.
Le case che si affacciano sulla via sono tutte abitate, anche se sono quasi tutte vecchie, di piccole dimensioni e talvolta anche malridotte, ad eccezione di quelle dei Garofoli, dei Tassi e dei Boldrini, che possono essere considerati dei palazzetti che spiccano per la maggiore altezza o per il loro impianto più articolato e civile. Quelle che sono sul lato sinistro, salendo verso la Porta, hanno quasi tutte la parete esterna impostata sulle antiche mura che racchiudevano il Borgo per poi risalire, a ponente verso la Roccaccia e a levante su per le Piagge, fino a congiungersi con quelle che circondavano e proteggevano il Castello. Le case sull’altro lato, minori di numero, sono invece praticamente a ridosso del monte e fra di loro ci sono diversi orti, piccoli e grandi, soprelevati di due o tre metri rispetto al livello della via.
Il libro è disponibile presso la Libreria il Maestro di Sassoferrato.

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